A.C.A.B., di Stefano Sollima, 2012
Atmosfera cupa e musica roboante, tutto il film è permeato da una domanda: che cosa porta un uomo a scegliere (e forse a non riuscire a fare a meno di) un lavoro machista, logorante e ingrato come quello del celerino?
Forse l'amore per la legalità (che non è necessariamente giustizia); forse l'ideale della Patria sotto forma di retaggio del mito fascita (ma poi l'istituzione li tratta come macchine da guerriglia); o magari l'incapacità di avere una vita privata e sociale diversa e meno inadeguata (e alla fine non si capisce più se questo sia causa o effetto); o forse ancora il richiamo ipnotico della strada e delle sue regole tribali che fanno la forza del gruppo, con tanto di iniziazione per l'ultimo arrivato, chiuso nel furgone in compagnia di un lacrimogeno acceso (gli si spiegherà poi che 'un celerino da solo
non è niente, ha solo i suoi fratelli').
Alla fine del film la domanda è ancora prevedibilmente e drammaticamente aperta.
"Bella Spina, primo giorno di lavoro e già hai spaccato la capoccia a due operai. Come te senti?"
"Na favola."
Spina: "Ma te c'hai mai pensato a molla?"
Cobra: "E a dargliela vinta? Mai. Dimme 'na cosa, tu quanto te sei divertito oggi... !uanto t'è piaciuto 'repulì' il parchetto?"
Spina: "Tanto."
Cobra: "Allora, vorresti molla?"
Spina: "No."
Negro (quando si accorge di non aver dimenticato la figlia): "L'ho lasciata in una caserma della Celere. Il posto piu sicuro al mondo."
"Un poliziotto della celere è uno che difende i diritti di tutti.
Ma i diritti miei chi li difende?"
Cobra a Spina: "I fratelli possono pure sbaglia', ma non si abbandonano. Mai."
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