martedì 25 aprile 2017

lunedì 10 aprile 2017

Parole che amo: solve et coagula

Due parole con dietro un mondo e più di significati.

Per gli alchimisti era la formula delle formule, quella della trasmutazione (fisica, psichica, spirituale, metaforica) del piombo in oro.

Solvere: sciogliere, separare, rompere.  In greco la stessa radice etimologica di sciogliere significa metaforicamente "libero", forse a sottintendere che non ci può essere libertà dove ci sono nodi o tensioni; da questa sfumatura deriva "assolvere: liberar da checchesia". Ma "essere solvente" significa anche pagare, rimettere i propri debiti. Il denaro diventa allora una forma di energia, non tanto per la sua capacità di scambio, ma soprattutto per la capacità di "solvere", ovvero di liberare i reciproci vincoli del particolare rapporto debitore/creditore.

Dopo aver dissolto è fondamentale coagulare o quagliare. Due parole sorelle che derivano dal latino co-agere, spingere insieme. 

Per ri-solvere un problema di qualsiasi natura bisogna sciogliere, separare gli elementi che lo compongono, possibilmente in un ambiente fluido che non ne comporti la dispersione, ma appunto nuove aggregazioni. La soluzione è ciò che deriva da questa trasformazione, che ricompone gli elementi in una nuova formula alchemica più alta, più pura, più efficiente.

Cfr.
Etimo.it solvere, risoluto, assolvere, coagulare


sabato 1 aprile 2017

Non potho reposare

Nel 1915 Salvatore Sini scrive "A Diosa" (la dea) struggente poesia in "limba" (lingua sarda) in cui un uomo innamorato canta alla sua donna lontana - per motivi di forza maggiore - tutto il suo amore. Diosa risponde a sua volta con il suo canto d'amore "A Diosu", pregandolo di tornare di corsa, non rubando le ali ad un angelo (come dice lui), ma prendendo un treno, ma anche a piedi o a cavallo. 

Siamo in piena Prima Guerra Mondiale e "A Diosa" e "A Diosu" raccontano i sentimenti dei soldati partiti al fronte fra le fila della Brigata Sassari e delle loro donne rimaste a casa ad aspettarli, spesso invano.

Poco dopo  questa poesia fu musicata da Giuseppe Rachel e diventò Non potho reposare, la canzone che da allora è nella colonna sonora della vita di ogni sardo, nonché la canzone in sardo più conosciuta e più amata nel mondo.

La leggenda narra che per garantire a Rachel i diritti d'aurore, Sini - non essendo iscritto alla SIAE - registrò il testo a nome di Max Leopold Wagner.

Qua il testo completo e tradotto delle poesie originali "A Diosa" e "A Diosu".