venerdì 28 maggio 2021

"Celebrate in pubblico, disprezzate in privato".

Parole che amo: chiappa, che forse deriva da acchiappare, e non c’entra niente con schiappa.

Su acchiappare e chiappa ci dice il sito unaparolaalgiorno:

“Sgombriamo il tavolo e arriviamo subito al punto culturalmente più rilevante: l'acchiappare c'entra con le chiappe? La risposta è complessa e intrigante — e non è un 'no' incontrovertibile, ma nel caso sono le chiappe a entrarci con l'acchiappare, e non il contrario.

[...]

Nell'acchiappare c'è uno sforzo d'intenzione molto forte, eppure non particolarmente violento. Pensiamo a come l'afferrare possa evocarci subito una presa stringente, uno strattone, come fanno anche l'acciuffare, e l'agguantare. Quella del laccio è una mediazione che frapponendo una certa distanza evita un contatto diretto e una diretta violenza; [...] nell'acchiappare non riconosciamo più questo senso preciso di accalappiare col laccio, eppure resta un prendere molto intento (serve una certa arte per acchiappare), psicologicamente coinvolgente, ma poco manesco, poco brutale. Non a caso è il verbo d'elezione per i giochi di bambini — e un suono in cui la fanno da padrone le occlusive contribuisce a rendere il senso avvincente del termine.

[...]

Linguisti eminenti hanno proposto che l'acchiappare, anzi il chiappare, sia effettivamente la base per le chiappe, cioè le natiche — e questo darebbe soddisfazione all'eco che sentiamo fra acchiappare e chiappa. Il problema è che il passaggio non è spiegato dal punto di vista del significato: anche se la natica è offerta come punto più vicino all'ipotetico inseguitore, anche escludendo da subito l'uso di un laccio le sue rotondità non danno comunque facile appiglio, e il nesso ci manca. E per non frustrare la curiosità diciamo che altri piuttosto, secondo la ricostruzione che pare più accreditata, la fanno scaturire in metafora dalla 'chiappa' quale termine antico (di origine preindoeuropea) che descriveva una sporgenza rocciosa: la natica effettivamente sporge, muscolare, e una simile metafora è del tutto poetica.”




Parole che amo: apprendista.

Da apprendere, composto da “ad” (particella rafforzativa) + “prendere”.

A sua volta “prendere” deriva dal latino “prehendere” composto da “pre” ( davanti) + la particella ariana “had” che significa afferrare, da cui deriva anche la parola inglese “hand”, mano.

Apprendista, colui che impara con le mani, emozione diretta del cuore.

“Porque eu sou filha de Deus, aprendiz do seu poder”.

https://youtu.be/q6W5Dbub6Qs

martedì 18 maggio 2021

Natura chiama Natura.

La guarigione è trasformazione

Della paura che diventa fiducia

Della sofferenza che diventa piacere

Della rabbia che diventa creatività

Del dolore che diventa amore

Del giudizio che diventa compassione

Della perdita che diventa crescita

Del vittimismo che diventa responsabilità

Della violenza che diventa perdono

Della tristezza che diventa gioia di vivere




(Se ti va continua tu...)

Non per Natura ma per Pratica.

Priva di potere. Piena di potenza.

Parole che amo: contenere.

Con_tenère

Con_tènere

Con_te_nere




Tenere con te.

Con tenerezza.

Nera.

🖤

Ti va di salire a vedere la mia collezione di reggiseni bruciati?

venerdì 7 maggio 2021

Ho visto anche femministe felicemente depilate.

Let it be natural. Let it be loving.


Profonda fiducia ma nessuna aspettativa.

Parole che amo: polp-astrelli.

Li immagino come piccole stelle sulla punta delle dita. Oppure, più prosaicamente come piccoli rastrelli di polpa.

https://www.etimo.it/?term=polpastrello

Parole che amo: convalescenza.

Con (insieme) + valelescere (riprendere valore, dunque vigore, forza, salute).

https://unaparolaalgiorno.it/significato/convalescenza

No where to run to. No where to hide.


Genuino Némus, La teologia del cinghiale

(citazioni dal libro)

Lo apostrofò con un tono che ammetteva , sì, repliche, ma di quelle sarde: in silenzio e con gli occhi pieni di molto, molto rancore.

Uomo tu pensi di scegliere la musica
ma è la musica che ti sceglie.

Gli ultimi minuti di dormiveglia sono i più belli e fantastici e non solo per i bambini; i pensieri scorrono liberi e selvaggi e sembrano cinghialetti rossi; si accavallano senza logica e ti sembra di essere uno sciamano di Mamoiada a cui tutto è concesso, anche fare pensieri “proibiti”.

Le amicizie, quelle vere, quelle tra uomini, nascono dalle debolezze.

Capiva la povertà come solo i sardi sanno capirla: in silenzio e con dignità.

Quante cose possono accadere in un solo giorno; quasi niente in confronto a quelle che possono accadere in un’ora; nulla, proprio nulla, se le paragoni a quelle che possono capitare in un solo minuto: se non provi a descriverlo, naturalmente.

Quando tutto si tramuta in tormento
quando tutto ti sembra uno spavento
bisogna fare come il vento
rannicchiarsi e trasformarlo in canto.

“Non negare mai, afferma raramente, distingui frequentemente”.

Aveva il dono più bello che uno potesse avere, quello della musica e del ritmo.

Mi insegnava come si insegna veramente: senza voler insegnare.
[...]
I suoi dischi li “nascondeva” così bene che potessimo trovarli, e lui lo sapeva.
Perché così si insegnano le cose davvero importanti: nascondendole.
[...]
Dovevamo scoprirlo da soli: questo era il suo insegnamento.

«Non è che avreste qualcosa da mangiare?».
Non ci sono né ristoranti né pizzerie a Telévras. Ci sono solo due bar, ma in uno c’è scritto “Snack” e la gente di una certa età non ci entra, perché il bar è una cosa seria.
«Se vi accontentate... un po’ di pane che facciamo noi, con del prosciutto che facciamo noi... un po’ di pecorino che facciamo noi, e un po’ di cannonau che facciamo noi...».
«Anche la birra la fate voi?».
«Quella no, accidenti. C’abbiamo l’Ichnusa, la birra sarda».
Pensate a uno scherzo.
Ora magari la bevete sempre, salvo scoprire che la sede è in viale Monza a Milano, ma allora (nel 1969, ndr) era tutta un’altra cosa. È sempre per scherzo pensate che vi porti un po’ di birra in un bicchiere e ve la spacci per sarda.
Avete viaggiato, voi, e nessuno vi può fregare.
E invece vi arriva una bottiglia stupenda, una di quelle con il tappo ermetico e i 4 mori disegnati sull’etichetta e, insieme a questo splendore, un’altra bottiglietta con scritto: “Vera Gassosa di Sardegna”. È buonissima.
Avete già bevuto le birre in tutti gli angoli di mondo nei quali siete già stati ma questa le batte tutte.
Certo, il caldo, la polvere delle strade bianche aiutano molto nel giudizio; e soprattutto il mare, che vedete in lontananza è in linea d’aria sembra lì, a portata di mano, solo che se provaste ad arrivarci per quelle strade dovreste farvi 25 km in due ore.

Perché la fede non è gioia, non è umorismo, non è allegria?

Morire andando in paradiso è come camminare da Siniscola ad Arbatax, costeggiando l’orientale di spiaggia in spiaggia.
[...] Piacevolissimo, stancante certo, ma meraviglioso.
[...] Lo capii meglio quando il caso volle che dovessimo andarci con la corriera della Satas: ecco, quello sì che fu un inferno.

Parole che amo: casa.

what can you trust in yourself?

Parole che amo: femminismo.

Forse non tutti sanno che il femminismo promuove attivamente i diritti di tutti: donne, uomini, uomini in corpi di donne, donne in corpi di uomini, e tutte quelle situazioni di genere non facilmente definibili per motivi biologici o altro. Ma il femminismo promuove e difende anche i diritti di tutte le minoranze etniche, disabili, e altre che sicuramente ora dimentico, insomma, tutte le fascia (rese) più deboli dalla società, ma che tutelate a dovete avrebbero grandi potenzialità da esprimere.

Viviamo in una società patriarcale, che ha fatto tantissimi danni a tutti, alle donne, ma anche agli uomini.

In questo 8 marzo 2021 è proprio a voi uomini che mi voglio rivolgere, invitandovi a riscoprire e tirare fuori il femminista che è in voi. Non abbiate paura di questa parola. La società patriarcale in cui viviamo ha danneggiate pesantemente anche voi, e lo sapete bene, anche se qualcuno continua a fare finta di niente.

Non diteci che non ci fate gli auguri oggi perché voi ci festeggiate ogni giorno. Si sa, la situazione è scomoda, e la tentazione di uscirsene con una frase ad effetto ma vuota alla “ti lascio perché ti amo troppo” può essere forte, ma voi potete fare davvero molto meglio di così.

Gli auguri non servono perché non è una festa, ma una ricorrenza, e l’unico augurio da farci tutti insieme è di imparare a costruire una società migliore uniti nelle nostre differenze, donne, uomini e tutti i generi.

Non possiamo sconfiggere le storture del patriarcato da sole. Abbiamo bisogno di voi, uomini. Padri, figli, fratelli, cugini, amici, mariti, ex, amanti, compagni.
Il patriarcato ha bisogno di femminist* almeno quanto il fascismo ha avuto bisogno di partigian*

State al nostro fianco, abbiamo bisogno di voi, almeno quanto voi ne avete di noi.

Monica Fronteddu

UN GIOCO A VINCERSI

L’amore è un gioco a perdere.
O forse è un vuoto a perdere.
Magari è un vuoto a rendere.
Senz’altro è un poco arrendersi.
L’amore è anche prendersi, a volte per capelli, a volte per fondelli. 
L’amore è un gioco a prendersi, a prendersi per mano, per fare girotondo, e poi cascare a terra, ma senza farsi male, a ridere di gusto.
E dentro al girotondo, l’amore è un pieno a prendere, e pure un gioco a vincersi.

Karma a doppio taglio.

Ti va di salire a vedere la mia collezione di trappole spirituali?

The healing that I was born for.

Promemoria per me stessa. La morte è necessaria, più che inevitabile.

Parole che amo: complicato (con pieghe) e complesso (con nodi)

https://www.complexityinstitute.it/definire-la-complessita/

Parole che amo: salita, che ti conduce in alto, fisicamente, ma anche moralmente, e perché no, spiritualmente.

Che le salite sono dure la bici te lo insegna subito, ma al tempo stesso ne intuisci e subisci anche il fascino, ancora di più se il tuo mentore è un appassionato scalatore.

In salita sudi, soffri, a volte bestemmi, ma entri anche in contatto con la parte di te che ce la vuole fare a tutti i costi, che prende la misura dei propri limiti e ci scende a patti, ma non molla. Non importa quanto lenta sei, quanta fatica fai, piano piano insieme al fiatone e alla stanchezza delle gambe sale anche un’intima sensazione di soddisfazione, di riuscire in qualcosa che non credevi possibile, che non avresti mai, ma proprio mai, pensato.

E non fai nemmeno in tempo a goderti il panorama mozzafiato, che dopo la salita inizia inevitabilmente la discesa, anch’essa con le sue sfide e insidie: solo apparentemente più facile, forse meno faticosa, ma comunque capace di incutere paura, soprattutto per chi come me non è brava a lasciare andare. Sarà perché mentre la strada scende la paura di perdere il controllo sale, sarà che mi piace andare in alto ma non in basso e questo mi ricorda che ci vuole umiltà sia nel salire che nel scendere, sia quando non hai altra scelta che quando ti sembra di poterne fare a meno.

La bici, passione recente ma già intensa e profonda, tante cose da scoprire, un meraviglioso mentore da cui imparare e tanti chilometri da macinare con le gambe e dentro me stessa.

Crea dipendenza. Quella buona.

O l’io essenziale