venerdì 14 settembre 2018

“Tutto arriva e tutto va. Niente mi appartiene”.



Radicamento, volo, equilibrio. Simbologia di vrksasana e garudasana.

Due delle mie asana yoga preferite sono vrksasana, la posizione dell’albero e garudasana, la posizione dell’aquila. Sembrano apparentemente semplici e banali eppure sono capaci di mettere in difficoltà anche praticanti assidui.

Vrksasana è una posizione di equilibrio e si chiama dell’albero perché ci invita a cogliere gli insegnamenti degli alberi e a fare nostre  le loro qualità.
Quindi la prima domanda che dobbiamo porci è: che cosa abbiamo da imparare dagli alberi? È abbastanza intuitivo che ci insegnano innanzitutto il radicamento: gli alberi non si possono sposare (non per loro scelta, perlomeno), possono vivere per centinaia di anni senza mai muoversi dal posto in cui sono radicati, qualsiasi cosa succeda loro. Affrontano il tempo che scorre e il ciclico avvicendarsi delle stagioni; offrono riparo e nutrimento a chiunque lo chieda, ospitano e creano ecosistemi; si difendono dagli attacchi che ricevono dall’esterno (per esempio dai parassiti); tutto ciò sempre restando piantati nelle loro radici. Con la loro pazienza ci dicono che non serve scappare, fuggire, ma bisogna “stare”, sempre e comunque, qualunque cosa succeda. 
Ed è alquanto interessante notare il “come” ci insegnano a stare. Come già detto vrksasana è una posizione di equilbrio, in cui si sta su un piede solo, perché stare fermi in un posto non vuol dire necessariamente essere fissi e stabili come montagne, ma presuppone la ricerca di un bilanciamento. Gli alberi dunque ci rivelano che per un buon radicamento è indispensabile stare in equilibrio su ognuno dei proprio piedi singolarmente, oltre che su entrambi.
Che radicamento ed equilbrio siano strettamente interconnessi ce lo mostra anche l’asana sui due piedi chiamata samasthiti (rimanere stabile su due piedi) oppure tadasana (posizione della montagna); nonostante sia la posizione di radicamento per eccellenza viene definita da molti insegnanti yoga anche una posizione di profondo equilibrio interno.
Perché per essere ben radicati è importante saper stare in equilibrio? Torniamo a vrksasana e osserviamo i nostri amici e maestri alberi: le radici sono piantate nella terra, mentre i rami e i fiori si proiettano verso il cielo, ed i frutti restano appesi ad offrirsi. Gli alberi sono la perfetta sintesi simbolica dell’equilibrio tra terra e cielo, tra maschile e femminile, tra terreno e celeste, tra materiale e divino. L’invito che ci porgono, attraverso vrksasana e di ritrovare questo stesso equilibrio in noi stessi. 

Che per innalzarci verso il cielo abbiamo bisogno di equilibrio, prima ancora che di radicamento ce lo suggerisce anche un’altra asana molto interessante: garudasana o posizione dell’aquila, dedicata al dio Garuda, signore di tutti gli uccelli. 
È curioso notare che in molte posizioni yoga dedicate agli uccelli i piedi sono staccati completamente da terra e ci si tiene in equilibrio su mani e braccia; pensiamo ad esempio a bakasana (posizione del corvo), mayurasana (posizione del pavone) kukkutasana (posizione del gallo), anche se sono animali poco esperti di volo, li rappresentiamo con i piedi sollevati. Invece nella posizione dell’aquila, dedicata alla regina incontrastata dei cieli che sovrasta le altezze più alte, un piede resta poggiato a terra, e l’altro si solleva appena. Anche in garudasana impariamo che più ci vogliamo innalzare, più ci dobbiamo radicare (e non a caso le zampe dei rapaci sono simili a radici), più ci vogliamo radicare, più è importante avere un buon equilibrio. 


Oppure, detto in altre parole, non importa se la nostra indole è terrena (radicarci alla terra) o aerea (innalzarci verso il cielo in tentativi di volo), in entrambi i casi avremo bisogno di un buon equilibrio. E lo troveremo praticando e meditando vrksasana e garudasana.

(di Monica Fronteddu)
Un allievo chiese al suo maestro per quanto tempo bisognava praticare ogni giorno, il maestro rispose:
5 minuti al giorno è meglio di niente;
10 minuti al giorno è meglio di 5;
20 minuti al giorno è meglio di 10;
40 minuti al giorno è meglio di 20;
60 minuti al giorno è meglio di 40;
ecc. ecc.

mercoledì 12 settembre 2018

Le parole sono finestre, oppure muri.

Mi sento così condannata dalle tue parole,
mi sento giudicata e allontanata,
prima ancora di aver capito bene.
Era questo che intendevi dire?

Prima che io mi alzi in mia difesa,
prima che parli con dolore o paura,
prima che costruisca un muro di parole,
dimmi, ho davvero compreso bene?

Le parole sono finestre, oppure muri,
ci imprigionano o ci danno la libertà.
Quando parlo e quando ascolto,
possa la luce dell’amore splendere attraverso me.

Ci sono cose che ho bisogno di dire,
cose che per me significano tanto,
se le mie parole non servono a chiarirle,
mi aiuterai a liberarmi?

Se sembra che io ti abbia sminuito.
Se ti è parso che non mi importasse,
prova ad ascoltare oltre le mie parole
i sentimenti che condividiamo.

Ruth Bebermeyer

Parole che amo: (fi)darsi.

(P.S. Mi fido di te).

“Sono la depressa più allegra del mondo!”

(Da una bio su Twitter).
In tedesco il verbo “appartenere” (gehören) contiene in sé il verbo “ascoltare” (hören).
“Non è così facile amarsi, perché non si può amare a comando, nessuno, nemmeno se stessi”.

“La mente può osservare l’amore, ma non può provarlo”.

(Cit.)

Quando ho cominciato ad amarmi davvero – Amore di Sè | Nuovi Territori

‪Semi_nata‬

domenica 2 settembre 2018

Parole che amo: celebrare.

L’etimologia di questa parola suggerisce che voglia dire “frequentare” prima ancora che “lodare, esaltare, festeggiare”. In altre parole, per onorare solennemente qualcuno/qualcosa la cosa fondamentale è esserci.

Il mio buon proposito per il nuovo anno è questo: celebrare e lasciare andare (che mi sembra un po’ il suo contrario).

Celebrare la vita, la gioia, la bellezza, che il mondo, se lo guardi bene, ne è pieno, anche (soprattutto) dove meno te lo aspetti. Celebrare anche il dolore, quello puro, e le ferite, parti imprescindibili di noi stessi e portatrici di una storia antica che chiede di essere ascoltata e trasformata. 

E (sospirone) lasciare andare le lamentele autoreferenziali, le sofferenze fini a se stesse, l’imbruttimento del rancore. Non servono più. Non servono più. Non servono più.

NON 
SERVONO 
PIÙ

Promemoria per me stessa e per chiunque ne possa trarre beneficio: ogni volta che giudico, sto parlando dei miei limiti.

Ci vuole energia anche per mollare.

Lo spreco della vita si trova nell'amore che non si è saputo dare, nel potere che non si è saputo utilizzare, nell'egoistica prudenza che ci ha impedito di rischiare e che, evitandoci un dispiacere, ci ha fatto mancare la felicità.

Oscar Wilde