“Penso che non sia un caso che il primo richiamo nell’Ashtanga Yoga sia Samastitihi. Guruji lo diceva sempre come prima cosa. Amavo questo, quando entravi nella sala. La sala era un caos e lui diceva: “Yeeees, SAMASTITIHI”. Era il primo richiamo, ed era molto chiaro che voleva che facessimo silenzio e rimanessimo dritti e fermi.
In ogni sistema o filosofia indiana la cosa più importante è detta all’inizio. In tanti testi indiani è così. Gli Yoga Sutra di Patanjali iniziano dicendo: Atha yoga anushasanam, che vuol dire ADESSO iniziamo lo studio dello yoga.
A me piace dire: adesso siamo pronti ad essere principianti, adesso siamo pronti ad iniziare. Avere la mente del principiante è molto importante. Quando pensiamo di sapere, siamo perduti. Dobbiamo sapere di non sapere.
Questa prima parola – sama – penso che sia molto importante. Cosa significa? Qualcosa come equilibrio, o equaniminità, calma. È come quando Patanjali dà la definizione di yoga: Yoga chitta vritti nirodha.
Nirodha è un po’ come smussare le irregolarità di tutto ciò che disturba la mente e il corpo. Quindi è così che funziona Sama, è diventare equilibrati e calmi e quindi ritrovare la propria vera natura, come dice il terzo sutra degli Yoga Sutra: Tadah drashtu svarupe avastanam - adesso ci fermiamo, adesso siamo stabili nella verità che noi siamo.
Questo è ciò che lo yoga vuole insegnarci, la filosofia e la pratica. Impariamo fisicamente a stare dritti sui nostri due piedi e a non farci spingere qua e là dai condizionamenti corpo-mente. Provate a chiedervi: vi state muovento verso Sama o lontano da Sama? E quando si capisce Sama più in profondità si vede che non è solo fisico. Samastitihi viene usato nella pratica fisica. Ma anche l’ottavo degli otto rami dell’Ashtanga Yoga è anche Sama-dhi. Samadhi vuol dire essere stabili nella propria verità. Lo yoga è definito come Samadhi da Patanjali. –dhi significa soltanto essere stabile nel Sama. Per non fare solo Ashtanga Yoga ma per usare l’Ashtanga Yoga per riconoscere che la pratica è uno strumento di osservazione per aiutarvi a vedere voi stessi. Sama è la chiave, è l’obiettivo, è la direzione in cui ci muoviamo, la realizzazioni che siamo tutti uno.
Abbiamo questa tecnica chiamata Vinyasa. Per capire il significato profondo di Vinyasa, Vinyasasono i passi che facciamo, composti da questi respiri-movimenti, ogni respiro-movimento è come un seme che mettiamo in fila inconsciamente grazie alla consapevolezza del nostro respiro dall’inizio alla fine della pratica e ogni respiro-movimento non va visto come un pezzo di legno morto o di pietra, ma è un seme vivo che dobbiamo piantare, coltivare, curare, in modo che ogni vinyasaabbia il tempo di crescere. L’idea che ogni vinyasa è finito, che c’è un punto finale è falsa, non è vera, è una trappola in cui cadiamo e ci fa praticare in modo non corretto. Dobbiamo essere più interessati ad andare all’inizio, piuttosto che spingere troppo forte per arrivare alla fine. Meno forza, più intelligenza, più comprensione, più gentilezza va portata nella pratica.
Voglio aiutare gli studenti a sentirsi liberi di usare la pratica nel modo in cui la vogliono usare. Dobbiamo obbedire a noi stessi, al nostro vero Sé. Questo è ciò che lo yoga ci chiede. Ma se siamo troppo obbedienti alla pratica rischiamo di farci male. Trovo che sia molto importante non voler andare troppo veloce nella pratica, è più difficile prendersi il tempo di aiutare gli studenti a guardare in profondità a quello che la pratica è, e come possiamo cambiare il modo in cui pratichiamo. La tecnica e il metodo che usiamo è il vinyasa, seguiamo il sentiero, Guruji è stato molto chiaro nel segnare il sentiero, invece è stato meno chiaro a proposito dei dettagli e io penso che noi abbiamo questa responsabilità di riempire gli spazi vuoti e di continuare con la nostra pratica, a dare vita a questa pratica, a farla evolvere, continuare a perfezionarla e renderla migliore. Possiamo farlo."
Chuck Miller
Torino, 16-18 maggio 2014