giovedì 26 giugno 2014

Un'iniezione di coraggio ~ La prima volta che ho donato il sangue.

Ci sono poche cose che mi fanno paura, ma da quelle poche sono letteralmente terrorizzata.
Le mie paure più irrazionali e profonde sono (e lo scrivo con liberazione e vergogna):
- paura dei topi, tanto da non essere riuscita a leggere la fine di 1984 di Orwell per eccessiva immedesimazione;
- terrore degli aghi e del sangue, cosa che rende ogni prelievo per analisi un tormento e un'Odissea.

Ho sempre desiderato donare il sangue, come forma di impegno civico, ma questa mia paura me lo ha sempre impedito. Ho più volte provato a vincerla, con pessimi risultati, leggi: inerzia e mille scuse per prorogare.
Per i miei 40 anni è scattato qualcosa, e ho deciso di regalarmi un'iniezione di coraggio, di prendere finalmente la questione di petto e con l'aiuto di una cara amica (grazie mille, non ce l'avrei mai fatta da sola) che si è prestata di accompagnarmi a Taranto (a Massafra non si è attrezzati per la donazione stabile, bah) oggi sono andata al centro trasfusioni.

Procedura standard: emocromo, visita medica, domande di routine, misurazione pressione.
"Come si sente?"
"Agitata"
"Pressione 90-130, è l'agitazione, signora, stia tranquilla, non fa yoga? Stare tranquilla è il suo lavoro"
(Se, Dottore, seeee)
"È idonea. Per chi dona?"
"In che senso?"
"Per un'associazione, una persona in particolare o una donazione generica per chi ha bisogno?"
"Donazione generica"
"È la migliore"
(Cerchiamo di compensare il complesso di avere una fifa blu con la nobiltà delle intenzioni).

Attesa, cuore a mille, mani sudate, paura, coraggio, paura, coraggio, sverrò, piangerò, farò scenate, ce la farò? Mi sento una cagazzona ridicola. Lo sono. 
L'attesa è la parte peggiore, mi incoraggia la mia amica.
Tutti gli altri donatori intorno a me sono (sembrano?) tranquillissimi.
Che strana forma di vanità usare un gesto di impegno civile per vincere una sfida con se stessi.

Mi chiamano, ci siamo.
Infermiere bravissimo, dichiaro la mia paura sperando di esorcizzarla, ma mi trema tutto. Mi stende, mi tranquillizza. Infila l'ago. Sento quasi niente. Mi distraggo come meglio posso. Visto che non ci voleva poi così tanto? Un fastidio paragonabile a quello di un prelievo normale, insomma, non il momento in cui ti senti meglio in vita tua, ma niente di non affrontabile. Come tutto, nella vita.

"Abbiamo finito, non guardi l'ago mentre lo sfilo, se ha paura".
Come sento che poggia il cotone sul braccio non ce la faccio più e com'era prevedibile scoppio a piangere. Una donna di 40 che non ha paura di (quasi) niente che singhiozza per un prelievo di sangue. Un figurone!
Mi chiedono se sto bene. Sì, sto benissimo, mi sono solo commossa. Gli infermieri si/mi guardano stupiti: è la prima volta che succede. 
"Piange perché ce l'ha fatta?"
"Sì" (Oddio, quanto mi sento ridicola).
Gli infermieri si mettono a ridere, anch'io. Rido e piango. Mi sento fisicamente bene, non mi gira nemmeno la testa come sempre dopo un prelievo, ma emotivamente sono in subbuglio, non riesco a smettere di far scendere le lacrime. 
"Allora che fa, Signora, ritornerà la prossima volta?"
"Sì, ma probabilmente ripiangerò". Risate.

Che cacazzona ridicola e vanitosa che sono.

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