Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi
La scienza ci mostra come meglio comprendere il mondo, ma ci indica anche quanto vasto sia ciò che non sappiamo.
I periodi di vacanza sono quelli in cui si studia meglio, perché non si è distratti dalla scuola.
Il genio esita.
Le equazioni della meccanica quantistica e le loro conseguenze vengono usate quotidianamente da fisici, ingegneri, chimici e biologi, nei campi più svariati. Sono utilissime per tutta la tecnologica contemporanea. Non ci sarebbero i transistor senza la meccanica quantistica. Eppure restano misteriose: non descrivono cosa succede a un sistema fisico, ma solo, ma solo come un sistema fisico viene percepito da un altro sistema fisico. Che significa? Significa che la realtà essenziale di un sistema è indescrivibile? Significa solo che manca un pezzo alla storia? O significa, come a me sembra, che dobbiamo accettare che la realtà sia solo interazione?
La nostra conoscenza cresce, e cresce davvero. Ci permette di fare cose nuove che prima non immaginavamo nemmeno. Ma nel crescere ci apre nuove domande. Nuovi misteri.
Quando Einstein muore, Bohr, il suo grandissimo rivale, ha parole di commovente ammirazione. Quando pochi anni dopo muore Bohr, qualcuno prende una fotografia della lavagna nel suo studio: c'è un disegno. Rappresenta la «scatola piena di luce» dell'esperimento mentale di Einstein. Fino all'ultimo, la voglia di confrontarsi e capire di più. Fino all'ultimo, il dubbio.
La meccanica quantistica e gli esperimenti con le particelle ci hanno insegnato che il mondo è un pullulare continuo e irrequieto di cose, un venire alla luce e uno sparire continuo di effimere entità. Un insieme di vibrazioni, come il mondo degli hippy degli anni Settanta. Un mondo di avvenimenti, non di cose.
La Natura si sta comportando con noi come quell'anziano rabbino da cui erano andati due uomini per dirimere una contesa. Ascoltato il primo, il rabbino dice: «Hai ragione». Il secondo insiste per essere ascoltato, il rabbino lo ascolta, e gli dice: «Hai ragione anche tu». Allora la moglie del rabbino, che orecchiava da un'altra stanza, urla: «Ma non possono avere ragione entrambi!». Il rabbino ci pensa, annuisce, e conclude: «Anche tu hai ragione».
Specchiandoci negli altri e nelle cose, impariamo chi siamo. [...] Non solo impariamo, ma impariamo anche a cambiare gradualmente la nostra struttura concettuale, e ad adattarla a ciò che impariamo. E quello che impariamo a conoscere, anche se lentamente e a tentoni, è il mondo reale di cui siamo parte. [...] Questa comunicazione fra noi e il mondo non è qualcosa che ci distingue dal resto della natura. Le cose del mondo interagiscono in continuazione l'una con l'altra, e nel fare ciò lo stato di ciascuna porta traccia dello stato delle altre cose con cui ha interagito: in questo senso esse si scambiano di continuo informazione le une sulle altre.
La nostra intensa sensazione di libertà interiore, come Spinoza aveva visto acutamente, viene dal fatto che l'idea e le immagini che abbiamo di noi stessi sono estremamente più rozze e sbiadite del dettaglio della complessità di ciò che avviene dentro di noi. Noi siamo sorgente di stupore per noi stessi. Abbiamo cento miliardi di neuroni nel nostro cervello, tanti quanti le stelle di una galassia, e un numero ancora più astronomico di legami e combinazioni in cui questi possono trovarsi. Di tutto questo non siamo coscienti. «Noi» siamo il processo formato da questa complessità, non quel poco di cui siamo coscienti. [...] La vita sulla terra non è che un assaggio di cosa può succedere nell'universo. La nostra anima non ne è che un altro.
Per natura amiamo e siamo onesti. E per natura vogliamo sapere di più. E continuiamo ad imparare. La nostra conoscenza del mondo continua a crescere. Ci sono frontiere, dove stiamo imparando, e brucia il nostro desiderio di sapere. [...]
Qui, sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con l'oceano di quanto non sappiamo, brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato.
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