Quando ero ragazza e vivevo in Sardegna - parliamo quindi degli anni Novanta - l'autostop era uno dei metodi d'elezione di noialtri che ci sentivamo temerari e fighetti per spostarci da un paese e l'altro. Pochi, ma vitali, chilometri per non sentirci isolati dal resto del mondo.
Le alternative erano i celeberrimi treni a scartamento ridotto per i paesi talmente fortunati da avere una stazione. I treni che camminano su un binario solo e che ad un certo punto sono diventati un'attrazione turistica, per quanto anacronistici. Ma Dorgali, il mio paese, non c'aveva manco la stazione per i trenini con due vagoni.
L'unica opzione per muoversi erano gli sparuti (per orari e per allestimenti) pullman, altrimenti detti la Corriera, o meglio ancora il Postale. Mentre gli autobus di città erano (e forse sono ancora) i Postalini, ma per vederne uno bisognava avventurarsi fino a Nùoro. Postalino, un nome che allo stesso tempo
mi ispira ilarità e tenerezza, un mix di sentimenti che mi capita spesso rispetto alle parole (e alle storie in genere) sarde.
Insomma, chi era senza mezzi propri (per età o per altri motivi) e voleva andare da Dorgali a Nuoro e viceversa (ma questo avveniva e forse ancora avviene in tutti i paesi della provincia) si andava ad appostare in punti strategici e sperava in un passaggio. Lo chiamavano "Bastianu Poddiche" (Sebastiano Pollice), ma altro non era che l'autostop, il passaggio a scrocco.
Mi sono fatta in compagnia di Bastianu praticamente tutto l'ultimo anno delle superiori, boicottando il famelico Pulman degli Studenti, mitologico teatro di piccole grandi storie di amicizia, di amori nati e finiti, di pomiciate salivose e brufolose, atti più o meno gravi (a volte davvero molto gravi) di bullismo che nessuno si sognava di denunciare, di sigarette fumate "a fura" (di nascosto dall'autista, credevamo noi...) di disperato studio dell'ultimo minuto, insomma la storia di un gruppo di adolescenti isolani e di primi e pressoché inutili tentativi di sprovincializzarsi.
Ma con Bastianu Poddiche la musica cambiava, viaggiare col passaggio in auto, seppure la più scassata delle utilitarie, era un lusso in confronto al Pullman.
Se poi era una macchina decente e c'era pure l'autoradio era come stare in prima classe.
Se poi il proprietario e autista aveva pure dei gusti musicali giovanili e simili ai nostri (che allora significava soprattutto rock'n'roll, roba anni '60, praticamente già vecchia da un pezzo, ma che a noi ci faceva sentire all'avanguardia), che pacchia!
Che Dio benedica tutti quelli che ci offrivano pietosamente un passaggio nonostante il nostro aspetto e la nostra spocchia adolescelenziale. Che la sottoscritta non offriva in cambio nemmeno un po' di conversazione forzata. Giusto un "grazie" a mezza bocca quando sgusciavamo frettolosamente via dall'auto.
Che Dio ci perdoni per tutti i "frastimi" (maledizioni) lanciati a chi ci lasciava a terra. Che oggi li capisco benissimo perché lo facevano.
L'autostop diventava ancora più vitale in estate, quando la meta non era più Nùoro e la scuola, ma Cala Gonone e il mare. Se ho avuto un minimo di vita sociale estiva in quegli anni è solo grazie a quegli angeli che mi hanno accompagnato aldilà e al di qua della galleria. Otto miseri chilometri, scanditi da sette tornanti che rappresentavano la distanza tra l'inferno (Dorgali in estate, ma anche in inverno a dirla tutta) e il paradiso Cala Gonone con il mare, le bancarelle, i turisti, la Vita!
Questo è il motivo per cui, quando finalmente mi sono auto munita, ho sempre dato un passaggio a chi me lo chiedeva, in Sardegna, ma anche altrove.
Come quella volta all'Università che con Anna, a Siena, trovammo una coppia di ragazzi stranieri che doveva andare a Firenze. Lei era tutta infreddolita, aveva un vestito a maniche corte e faceva freddissimo, quando ci fermammo si infilò in macchina alla velocità della luce. Noi non dovevamo andare a Firenze, ma ce li portammo lo stesso, offrendogli insieme al passaggio un concentrato di provincialismo sardo-pugliese con il nostro inglese risicatissimo, fumando come turche, e mettendoci la cintura di sicurezza solo davanti al posto di blocco per poi slacciarla appena superato. Ci sentivamo molto cazzute a fare così, i due ragazzi stranieri scoppiarono a ridere. Ci vennero a trovare un paio di giorni dopo e per ricambiare il passaggio ci regalarono una stecca di sigarette!
Oppure come l'altro giorno, che stavo andando a Bari a prendere mio marito in aeroporto, passando dalla SS100. Mentre camminavo in macchina ho intravisto sullo svincolo dell'autostrada una coppia di ragazzi stranieri e zaino in spalla con il cartello BARI.
Non ho fatto in tempo a fermarmi perché erano in un punto piuttosto critico, però ho iniziato a pensare che a dicembre 2016 c'è una coppia di turisti stranieri che sta girando la Puglia in autostop. Che grandi!
Insomma, per timore che non avrebbero trovato un passaggio facilmente ho fatto un'inversione a U da ritiro di patente, sono tornata indietro e li ho recuperati e accompagnati a Bari.
Una bella coppia, lei tedesca, lui israeliano. Lei bionda e chiarissima, lui mulatto e con una zazzera di capelli afro infinita, aspettavano là da circa un'ora.
Erano in vacanza con couchsurfing proprio a Massafra, ed erano diretti a Napoli e poi a Roma, sempre in autostop. Se non ci fosse stato mio marito ad aspettarmi in aeroporto sarei stata capace di portarli fino a là.
Avrei voluto fotografarli, avrei voluto dargli il mio numero di telefono e chiedergli di informarmi dei loro spostamenti, che fossero riusciti a trovare un passaggio, che stavamo bene.
Ma lo spirito dell'autostop è
la provvisorietà, è la meraviglia del qui ed ora. E allora li ho lasciati andare senza chiedergli niente, che con la loro gioventù e con questo spirito se la cavano in ogni caso.
Ho augurato loro buona fortuna, e loro hanno augurato buona fortuna a me.
Io gli ho offerto un breve passaggio, e loro mi hanno offerto un tuffo nella mia giovinezza e hanno condiviso con me un po' della loro meravigliosa libertà. E direi che ne è proprio valsa la pena.
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