Nonna Mafalda, uno dei ricordi più belli della mia infanzia torinese.
Era una collega di mia madre, un po' più grande di lei, e la aiutava un po' in tutto, quindi anche con me, facendosi chiamare Nonna, visto che non ne avevo altri là. Mi portava in campagna, mi insegnava a cucire, a cucinare e l'arte del risparmio, tutti insegnamenti che si sono rivelati inutili, ma forieri di mille aneddoti meravigliosi.
Quando avevo 6 anni e mezzo la mia famiglia ha lasciato Torino per la Sardegna e da allora ad ogni Natale e ad ogni mio compleanno ho ricevuto un un biglietto di auguri di Nonna Mafalda con dei soldi per comprarmi un regalo. Non ne ha saltato uno. Ha solo smesso di mandarmi i soldi quando mia madre l'ha "rimproverata" dicendole che ormai ero diventata grande (managgia!).
L'ho rivista altre tre volte: in una mia visita a Torino a 17 anni, per la mia laurea a Siena, e per il mio matrimonio in Sardegna. E ogni volta sono scoppiata a piangere.
Era un carro armato, una donna fortissima con una vita difficile, aveva vissuto il dopoguerra più duro, era rimasta vedova molto giovane, però rideva sempre.
Se ne è andata l'anno scorso, in un momento in cui ero troppo presa dalla malattia di mio padre per rendermene conto, e solo adesso mi accorgo che non sono andata al suo funerale a salutarla per l'ultima volta. È una cosa che rimpiangerò sempre.
Poco fa mi ha telefonato sua figlia, e improvvisamente ho realizzato che non non riceverò più i biglietti di auguri di Nonna Mafalda, e ho iniziato a singhiozzare al telefono come una bambina.
Mi amava e mi trattava come se fossi davvero sua nipote, e non ho mai capito perché, e mi sono sempre sentita un po' in colpa per questo, come se approfittassi di un amore a cui in realtà non avevo diritto. Ma forse è davvero sempre così: i nonni danno tutto, i nipoti ne approfittano come piccoli grandi despoti, per poi accorgersi quando li perdono che erano un tesoro immenso e immeritato.
(scritto nel 2014)
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