Appello ad ostetriche, ginecologi, insegnanti di yoga per la gravidanza, doule, operatori della relazione di aiuto in gravidanza, e chiunque interagisca con le donne in gravidanza e abbia voglia di partecipare ad una ri-evoluzione gentile.
In questo bellissimo post (vedi in coda) le Ostetriche Valeria Gianni e Marzia De Franceschi di ArteOstetrica dicono:
«Sarà bello il giorno in cui una donna in travaglio potrà dire: "Ho le espansioni!".
Noi ce lo auguriamo.»
Chiunque lavori con le donne in gravidanza e promuove il parto naturale, attivo e rispettato sa quanto sia urgente cambiare le parole che raccontano il parto, la narrazione che lo descrive, oggi tutta basata su paura e dolore della madre che con sacrificio si immola anima e corpo alla causa.
E allora iniziamo noi!
Nei nostri corsi, nelle nostre consulenze, nei libri, nei post sui social, e soprattutto durante le visite di controllo iniziamo noi tutti per primi a cambiare le parole che usiamo per parlare del parto.
Non usiamo più la parola “contrazioni”, ma quella “espansioni” e “onde”.
Non parliamo più di “spingere fuori il bambino”, ma di “aprirsi al suo riflesso di eiezione / alla sua spinta” o anche di “respirarlo fuori”.
E soprattutto basta, basta, basta con la presunta maledizione biblica, parliamo invece di partorire con piacere, sì, con piacere, perché no? E poi di partorire con gioia, con amore, con consapevolezza.
E ancora, ogni volta che chiacchierate o intervistate una donna incinta non chiedetele chi è il ginecologo che la segue, ma chiedetele chi è l’ostetrica che la accompagna.
Non basta fare un post su Facebook, dobbiamo integrare questi nuovi modi dire nel nostro vocabolario quotidiano, farlo diventare familiare con il loro continuo uso.
Così, la ri-evoluzione gentile del parto si espanderà davvero, donna dopo donna, una vagina alla volta.
[Se vi vengono in mente altri modi di dire che possono essere cambiati o migliorati aggiungeteli nei commenti].
Monica Fronteddu
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Monica Fronteddu
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Le espansioni del parto.
Espansioni? quali espansioni ci saranno mai nel parto, se ovunque si sentono nominare solo le contrazioni?
Attraverso il linguaggio diamo una forma al mondo e troviamo comprensione delle nostre esperienze, anche di quelle corporee ed emotive. Il linguaggio è importante, essenziale alla nostra vita e alla comunicazione.
A volte le parole ci illuminano verso orizzonti nuovi, altre volte invece ci ingabbiano all'interno di schemi mentali rigidi.
Quando ci si riferisce al dolore durante il parto e il travaglio, ad esempio, si nominano sempre le cosiddette contrazioni.
Qualcosa - l'utero che porta il bimbo al suo interno- durante il travaglio, nel processo di nascita si contrae e fa male, porta dolore: questo ci dice il linguaggio comune. Come se non bastasse, sappiamo che le contrazioni si possono contare, misurare, indurre, placare: questo ci dicono alcuni strumenti della medicina moderna.
Interrogarsi sul dolore nel parto, sul suo senso biologico ed esperienziale, vuol dire provare a cambiare questa prospettiva.
Pensiamoci: possiamo dire che qualcosa si contrae solo se lo confrontiamo con il movimento opposto, cioè l'espansione. Un po' come quando cerchiamo di ricordare che per ogni salita c'è anche necessariamente una discesa. Contrazione ed espansione sono sempre parte dello stesso fenomeno. Il corpo di una donna durante il travaglio e il parto ha un unico grande obiettivo: espandersi, arrivare all'apertura per permettere il passaggio del bambino, affinché la madre lo possa accogliere. Perché mai dovrebbe contrarsi allora? Ebbene, lo fa perché solo attraverso il ritmo, l'alternanza tra contrazione ed espansione può creare il movimento del dare la vita. E' un processo lento e delicato, una trasformazione corporea grandiosa che rischierebbe l'incolumità della donna se non avvenisse molto gradatamente. La ritmicità, che cresce a poco a poco, l'alternarsi di contrazione ed espansione, permettono al corpo di aprirsi lentamente, permettono anche al bambino di attivarsi e adattarsi alla vita. L'utero si contrae, ma solo al fine di aiutare, con il suo ritmo, pian piano a espandersi tutto il resto del corpo materno fino a lasciare andare il bimbo, fisicamente ed emotivamente. E' anche l'anima che si espande, non solo il corpo e tutto questo è la nascita!
Viviamo in un contesto sociale che troppo spesso dimentica il valore dell'alternanza e del ritmo del corpo; perdiamo consapevolezza del ritmo mestruale, dei ritmi della sessualità - anch'essi intrisi di contrazione e d espansione- senza cui non esiste il piacere. E' così che finiamo per schiacciare tutto sotto una prospettiva lineare, unilaterale rischiando di perdere di vista il senso globale del nostro essere, del nostro corpo e del dolore nel parto.
Sarà bello il giorno in cui una donna in travaglio potrà dire: "Ho le espansioni!".
Noi ce lo auguriamo.
Ostetriche Valeria e Marzia
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