“Sposa di qualcuno, madre di chiunque, io non sapevo cosa fosse la vocazione a essere me”.
Michela Murgia, Dare la vita.
Letto in due sere.
Libro postumo, come un’eredità inaspettata, sconvolgente, ingombrante e imprescindibile, che tra le altre cose mi regala finalmente una visione sensata e un’opinione avveduta sulla gravidanza per altri.
Dirò una cosa di Michela Murgia. Non mi piace (leggi, non concordo con) tutto quello che ha detto o scritto. Ma mi stra-piace sempre come lo ha fatto.
L’ultimo capitolo dal titolo “Altre madri. Cosa avrei raccontato a mia figlia quando ero un’altra”. Una chiusura che è al tempo stesso un pugno nello stomaco e un balsamo per il cuore. Un piccolo immenso manifesto di identità sarda - maestosa eppure dai tratti imbarazzanti - descritto con l’amore di un cuore spezzato e guarito di madre e l’acutezza di una mente di donna cosmopolita.
Dopo questa lettura Michela Murgia mi mancherà ancora di più.
“Sarà una musica l’identità, e ci canterò sopra la storia che non abbiamo visto, mentre ci accadeva come cosa straniera, quando la benda divenne bandiera, e dimenticammo di essere state regine”.