Momento di autodenuncia. Ovvero breve storia di me stessa che cerco di decolonizzare me e il mio mondo dal patriarcato (SPOILER: ne devo mangiare ancora di pane duro).
Sono nata femmina, e sono diventata donna.
E da donna, per tantissimo tempo ho diligentemente ubbidito a tutto ciò che il patriarcato aveva sapientemente previsto per il mio genere.
Mi si zittiva, e stavo zitta, convita che quello che avrei voluto dire fosse stupido, irrilevante, noioso.
Mi si molestava e non protestavo, prendendo per buono che non fossero molestie ma complimenti.
Mi si diceva “le donne sono le peggiori nemiche delle donne” e ci sono cascata con tutte le scarpe, mettendomi spesso e del tutto inconsapevolmente in competizione con altre donne, soprattutto se si trattava di un uomo, tanto mi ero bevuta la favola che essere preferita ad un’altra donna potesse davvero essere la misura del mio valore se non addirittura del senso stesso della mia esistenza.
Mi si umiliava, discriminava, svalutava, sminuiva e io interiorizzavo di non aver nessun valore.
Mi si intimava di dover avere un aspetto gradevole, conforme, giovane, e io spendevo immani quantità di tempo, energia e soldi per cercare di essere bella, magra, giovane, ma con un sentimento strisciante di continua inadeguatezza.
In quanto donna subisco da sempre ogni giorno una silenziosa sfilza di discriminazioni, troppe delle quali normalizzate e perciò non percepite come tali, nemmeno da me stessa, ma sempre con quella strisciante e sgradevole sensazione di qualcosa che non quadra che le accompagna. Ovviamente condivido questa sorte con tutte le donne del mondo.
Ma oltre essere donna sono anche di pelle bianca, cisgender, eterosessuale, benestante, normodotata, con un corpo sufficientemente conforme. Ovvero, godo di moltissimi privilegi. E tutti questi privilegi li ho sempre dati per scontati, fin quando il femminismo non è entrato nella mia vita.
Da allora è iniziata una lunghissima, dolorosissima, difficilissima rassegna di tutto ciò che ho sempre negato di me stessa per conformarmi ad un ideale di donna irraggiungibile. E subito dopo è iniziato un duro lavoro di autocritica per stanare il maschilismo interiorizzato, il razzismo interiorizzato, l’omofobia interiorizzata, l’abilismo e il bodyshaming interiorizzato, e qualsiasi altra discriminazione normalizzata di cui ancora non mi accorgo.
E a interiorizzare sono stata bravissima, e so di essere in ottima compagnia.
E allora, come ci si decolonizza dal maschilismo per liberarsi da tutte le discriminazioni ingiuste subite? E ancora, come ci si rimette a posto con la coscienza quando si prende la bruciante consapevolezza che sì, anche io ho contribuito, e alla grandissima, ad alimentare e perpetuare discriminazioni e brutture di ogni genere?
Non c’è una ricetta, ognuno troverà la sua strada. L’unica cosa certa è che si può procedere sono un passo alla volta e da decolonizzare c’è davvero tantissimo e non è detto che basti questa vita e forse neppure la prossima per completare l’impresa.
Personalmente sto cercando di svincolarmi da tutta quella serie di aspettative che una società patriarcale ha su di me, donna sulla cinquantina, cerco di riconnettermi davvero con chi sono e con quello che mi piace. Ammetto che è faticoso.
E poi tengo fermo a mente che tutto ciò che scivola facile nella mia vita (e in quella di chi mi circonda) è frutto di privilegio, non di merito e ahimè nemmeno di diritto (una delle conquiste peggiori del patriarcato è di aver trasformato in privilegi anche i diritti fondamentali) e in continuazione mi pongo la domanda: che cosa ne faccio del mio privilegio?
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