"Il ricordo di Dorgali si profuma di fiori di mandorlo, si colora dell'azzurro del mare intravisto da un piccolo tunnel scavato sul monte Bardia, vibra del canto donne, eleganti nei loro caratteristici costumi e belle come figure egizie.
Quando mi vedevano passare intonavano la ninna nanna per le loro bimbe: "O ninnia, o ninnia, che tu professoressa sia, magari confinata, ma gioia della tua mamma".
E si rallegra il ricordo, dello scoppiettio di una fiamma intravista da una porta aperta. Ne avevo sentito il tepore da lontano e mi ero avvicinata. Una donna mi guardò e con voce invitante mi disse: "Veni in domo mea". In quel dialetto latineggiante sentii la forza di una civiltà che non era morta, ma doveva, chissà quando, vincere la barbarie di cui troppi italiani erano schiavi.
Da Dorgali un brutto giorno fui trasferita a Orune, per punizione. Non avevo trasgredito le severe regole del confino, ma il paese detto più fascista della Sardegna s'era dimostrato troppo fraterno con i confinati politici, anzi entusiasta, attribuendoci qualità e meriti che probabilmente non sognavamo neppure di avere e ciò non garbava ai gerarchi di regime."
Lina Merlin (che sarebbe diventata la futura senatrice della legge per la chiusura dei bordelli) in gioventù fu condannata dal regime fascista a quattro anni di confino in Sardegna, pratica molto usata in quel periodo per gli oppositori politici.
Il confino iniziò a Nùoro, ma fu presto trasferita a Dorgali allora "governata da un gerarchetto fascista", perché la città era "un covo di Sardisti avversi al regime".
Pare che a Dorgali si guadagnasse da vivere come infermiera, e così veniva chiamata: "s'infermiera", e che avesse insegnato a diverse donne del paese a leggere e scrivere. Ma il suo soggiorno dorgalese durò appena tre mesi dopo i quali fu trasferita ad Orune, "essendo divenuta, senza mio merito o colpa, troppo popolare" tra le persone.
Tutti i corsivi sono tratti dalla sua autobiografia "La mia vita".
La foto la raffigura col costume tradizionale dorgalese.
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