"Trentacinque anni che abito qua. Ci hanno messo provvisori e stiamo morendo qua."
"Siamo sempre stati gli ultimi della classe, certo... A Taranto non pensa nessuno. Questo volevo dire al governo: venissero loro a vivere qua."
SettanTA, di Pippo Mezzapesa (2012)
Le case-parcheggio di Taranto furono costruite in fretta e furia nel 1980 come alloggio temporaneo per dare un tetto alle famiglie che dovevano essere evacuate dal centro storico che intanto cadeva a pezzi, in attesa di edificare delle più decorose case popolari. A tutt'oggi sono abitate, ospitando (ma sarebbe più giusto dire stipando) molte più persone di quante dovrebbero.
Gli standard costruttivi sono minimi, di poco superiori a quelli delle favelas: pavimenti di plastica e catrame, pareti di amianto, pozzi neri appena sotto gli appartamenti che esalano odori insopportabili e spesso si infiltrano nei tubi dell'acqua per le abitazioni.
Le case parcheggio sono un ghetto nel ghetto del quartiere Tamburi, quello tristemente famoso per essere ai piedi dell'ILVA, oltre che per essere il regno di topi grandi quanto bambini e della malavita locale.
Pippo Mezzapesa le aveva già immortalate nel suo lungometraggio Il paese delle spose infelici, per poi tornarci con questo corto SettanTA, con cui ha vinto il Nastro d'Argento.
Sporche, disastrate e dannate, eppure poetiche, talmente degradate da sembrare la riproduzione di un set cinematografico, e invece talmente vere da lasciarti senza fiato e da farti sentire un forte pugno nello stomaco ogni volta che ci passi davanti, non ci si può abituare mai a tutta questa miseria, e neppure fare finta che non esista. Non è vero, invece si può.
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