martedì 30 giugno 2015
Sette brevi lezioni di fisica
Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi
La scienza ci mostra come meglio comprendere il mondo, ma ci indica anche quanto vasto sia ciò che non sappiamo.
I periodi di vacanza sono quelli in cui si studia meglio, perché non si è distratti dalla scuola.
Il genio esita.
Le equazioni della meccanica quantistica e le loro conseguenze vengono usate quotidianamente da fisici, ingegneri, chimici e biologi, nei campi più svariati. Sono utilissime per tutta la tecnologica contemporanea. Non ci sarebbero i transistor senza la meccanica quantistica. Eppure restano misteriose: non descrivono cosa succede a un sistema fisico, ma solo, ma solo come un sistema fisico viene percepito da un altro sistema fisico. Che significa? Significa che la realtà essenziale di un sistema è indescrivibile? Significa solo che manca un pezzo alla storia? O significa, come a me sembra, che dobbiamo accettare che la realtà sia solo interazione?
La nostra conoscenza cresce, e cresce davvero. Ci permette di fare cose nuove che prima non immaginavamo nemmeno. Ma nel crescere ci apre nuove domande. Nuovi misteri.
Quando Einstein muore, Bohr, il suo grandissimo rivale, ha parole di commovente ammirazione. Quando pochi anni dopo muore Bohr, qualcuno prende una fotografia della lavagna nel suo studio: c'è un disegno. Rappresenta la «scatola piena di luce» dell'esperimento mentale di Einstein. Fino all'ultimo, la voglia di confrontarsi e capire di più. Fino all'ultimo, il dubbio.
La meccanica quantistica e gli esperimenti con le particelle ci hanno insegnato che il mondo è un pullulare continuo e irrequieto di cose, un venire alla luce e uno sparire continuo di effimere entità. Un insieme di vibrazioni, come il mondo degli hippy degli anni Settanta. Un mondo di avvenimenti, non di cose.
La Natura si sta comportando con noi come quell'anziano rabbino da cui erano andati due uomini per dirimere una contesa. Ascoltato il primo, il rabbino dice: «Hai ragione». Il secondo insiste per essere ascoltato, il rabbino lo ascolta, e gli dice: «Hai ragione anche tu». Allora la moglie del rabbino, che orecchiava da un'altra stanza, urla: «Ma non possono avere ragione entrambi!». Il rabbino ci pensa, annuisce, e conclude: «Anche tu hai ragione».
Specchiandoci negli altri e nelle cose, impariamo chi siamo. [...] Non solo impariamo, ma impariamo anche a cambiare gradualmente la nostra struttura concettuale, e ad adattarla a ciò che impariamo. E quello che impariamo a conoscere, anche se lentamente e a tentoni, è il mondo reale di cui siamo parte. [...] Questa comunicazione fra noi e il mondo non è qualcosa che ci distingue dal resto della natura. Le cose del mondo interagiscono in continuazione l'una con l'altra, e nel fare ciò lo stato di ciascuna porta traccia dello stato delle altre cose con cui ha interagito: in questo senso esse si scambiano di continuo informazione le une sulle altre.
La nostra intensa sensazione di libertà interiore, come Spinoza aveva visto acutamente, viene dal fatto che l'idea e le immagini che abbiamo di noi stessi sono estremamente più rozze e sbiadite del dettaglio della complessità di ciò che avviene dentro di noi. Noi siamo sorgente di stupore per noi stessi. Abbiamo cento miliardi di neuroni nel nostro cervello, tanti quanti le stelle di una galassia, e un numero ancora più astronomico di legami e combinazioni in cui questi possono trovarsi. Di tutto questo non siamo coscienti. «Noi» siamo il processo formato da questa complessità, non quel poco di cui siamo coscienti. [...] La vita sulla terra non è che un assaggio di cosa può succedere nell'universo. La nostra anima non ne è che un altro.
Per natura amiamo e siamo onesti. E per natura vogliamo sapere di più. E continuiamo ad imparare. La nostra conoscenza del mondo continua a crescere. Ci sono frontiere, dove stiamo imparando, e brucia il nostro desiderio di sapere. [...]
Qui, sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con l'oceano di quanto non sappiamo, brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato.
domenica 28 giugno 2015
Specchi
Se è vero che le persone che incontriamo sono gli specchi in cui ci riflettiamo (ed è vero), scusate la presunzione, ma io ho il privilegio di rispecchiarmi in persone bellissime e con pensieri stupendi.
sabato 27 giugno 2015
venerdì 26 giugno 2015
sabato 20 giugno 2015
giovedì 18 giugno 2015
Parole che amo: assolutamente, absolutely
Parole che amo: assolutamente, ancora di più in inglese, absolutely.
Dal latino ab-solvere, ovvero da-sciogliere, liberare da qualsiasi legame, quindi libero e indipendente.
Dal latino ab-solvere, ovvero da-sciogliere, liberare da qualsiasi legame, quindi libero e indipendente.
martedì 16 giugno 2015
Parole che amo: rispetto.
Parole che amo: rispetto.
Dal latino re-spicere: guardare di nuovo, guardare indietro o intorno.
Rispettare vuol dire soprattutto "guardare" e il rispetto che preferisco è quello fiero e non sottomesso di chi guarda sempre e comunque dritto negli occhi.
Dal latino re-spicere: guardare di nuovo, guardare indietro o intorno.
Rispettare vuol dire soprattutto "guardare" e il rispetto che preferisco è quello fiero e non sottomesso di chi guarda sempre e comunque dritto negli occhi.
sabato 13 giugno 2015
giovedì 11 giugno 2015
Pensare col corpo
Pensare col corpo di Jadier Tolia e Francesca Speciani
L'ho amato perché è un libro di facile lettura ma dagli spunti molteplici. Per quanto mi riguarda, la "lezione" che più di ogni altra ho fatto mia è che scegliere la "medicina alternativa" non vuol dire preferire l'omeopatia o i rimedi naturali al posto dei farmaci tradizionali. Scegliere la "medicina alternativa" significa smettere di "tenere le persone nemiche del sintomo e invece aiutarle a trovare un contatto più profondo con sé stesse", inducendole a riflettere sulle cause all'origine del disturbo. Indipendentemente dalla soluzione terapeutica che poi si sceglie. Detto così sembra una cosa semplice, in realtà non lo ho è per niente. Gli autori suggeriscono a chi vuole fare qualche passo in questo senso, di partire ponendo(si) alcune domande sui sintomi da indagare. In particolare:- dove compaiono?- quando compaiono?- cosa impediscono di fare?Non necessariamente le risposte ci saranno o saranno intuitive, e in alcuni casi nemmeno necessarie. Ma l'idea di poter dare una causa all'origine di alcuni disturbi può aiutare molto, anche solo a conoscersi un po' meglio.
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Gli indiani Pueblo mi dissero che tutti gli americani sono pazzi. Naturalmente ne fui stupito e chiesi perché. Risposero: "Be', dicono che pensano con la testa. Nessun uomo sano di mente pensa con la testa".
Carl Jung
Il sintomo non è che una zona d'ombra da indagare, come un aspetto di sé che non si riesce a vivere e a concretizzare. Nel sintomo è già presente la parte di sé che ancora non è emersa alla coscienza. In questo senso, prendere coscienza degli aspetti di sé sui quali il sintomo chiede di portare l'attenzione porta a completarsi, quindi a guarire.
Sembra che la natura sia in grado di darci solo malattie molto brevi. La medicina ha inventato l'arte di prolungarle.
Marcel Proust
I tre quarti delle malattie delle persone intelligenti provengono dalla loro intelligenza.
Marcel Proust
Mente bizzarra in corpo sano e mente sana in corpo bizzarro.
Guarigione e conoscenza. Guarigione è conoscenza.
Ci sono edifici muti, edifici che parlano, edifici che cantano.
Socrate
Pagina senza citazioni (arredata zen)
Al debutto, Zio Vanja di Čechov risultava prolisso e durava tre ore e mezza. Čechov lavorò tre giorni al testo e tagliò un'ora di spettacolo. Ma andato nuovamente in scena, la durata era sempre di tre ore e mezzo. "Ma come? Avete inserito dell'altro testo?" chiese Čechov. E il regista Stanislavskij: " No, abbiamo inserito le giuste pause".
Azione e contemplazione sono quindi due funzioni complementari. Questa complementarità non si può dissolvere se non a prezzo di una perdita del loro significato: l'azione crea un mutamento fisico, fa succedere qualcosa, ne vediamo gli effetti; crea quella che definiamo "un'esperienza". Ma solo quando è seguita da uno stato di quiete che rende possibile assaporarla, lasciare che sedimenti dentro di noi è che si integri, l'esperienza acquista senso e valore.
Dovunque il respiro venga trattenuto si crea una barriera.
In natura, come sappiamo, non esiste la separazione tra pulito e sporco, della quale siamo noi essere umani interamente responsabili. L'esigenza di avere una casa «pulita» comporta inevitabilmente un ambiente esterno più «sporco», perché quello che viene buttato fuori (scarichi, detersivi, spazzatura, gas, eccetera) la natura non sempre è in grado di riciclarlo. Prima di essere buttate nella spazzatura, le cose sono pulite. Ma appena vi arrivano, il contatto con ciò che è stato buttato prima le sporca.
Come direbbe Montalbán, rilassare gli sfinteri dell'anima.
Viene allora da chiedersi se siano proprio i condizionamenti religiosi e familiari o le regole morali a dettare il nostro comportamento sessuale, o se piuttosto non siamo noi a scegliere più o meno consciamente i condizionamenti, la religione, la morale, i valori familiari che in quel momento sono adeguati alla nostra fase di evoluzione psichica, mentale, emotiva, corporea. [...] In fondo, i condizionamenti si tengono anche perché sono funzionali.
Le tensioni del corpo, e in particolar modo quelle distribuite lungo la colonna vertebrale, corrispondono alle zone in cui appare necessario operare una sorta di separazione, o di un'esclusione inconsapevole di qualche aspetto di sé.
Paradossalmente, sprofondare verso il centro del proprio essere, anche a livello fisico, porta a ritrovare dentro di sé un forte senso di appartenenza al mondo esterno, esattamente come, andando ad analizzare le strutture subatomiche della materia, ci si ritrova a contatto con dimensioni che trascendono il tempo e lo spazio. [...] Mentre gli strati più esterni dell'organismo non informano gli strati più interni, il coinvolgimento in un rapporto fisico degli strati più interni rivoluziona completamente anche quelli più esterni.
Il termine commercio [...] contiene la radice merxdi Mercurio ed è quindi legato, almeno etimologicamente, a qualcosa di divino.
Tutti coloro che bevono questo rimedio guariscono in breve tempo, tranne coloro a cui non fa bene, che muoiono tutti.
Galeno (medico dell'antichità lo scriveva sui suoi preparati)
Dare aiuto agli altri non è che un falso antidoto alla paura della propria impotenza. [...]È la natura stessa a limitarci: non possiamo crescere al posto di un altro, affrontare la paura di un altro, soffrire al suo posto né fare scelte di vita che sono esclusivamente di sua competenza. Chi si rivolge al medico, in genere lo fa perché si sente impotente di fronte alla sua malattia. E il medico, offrendo una soluzione, ha modo di «vincere», almeno temporaneamente, il proprio senso di inadeguatezza. Anche se la negazione della propria impotenza impedisce di riconoscere i propri limiti e la complessità della situazione, ha tuttavia il grosso vantaggio di tranquillizzare entrambi. Ma le conseguenze sono quasi sempre a carico di chi viene curato.
L'autonomia implica il diritto di fare errori, di avere rimorsi, di scegliere senza saggezza, di comportarsi da sciocchi.
Petr Skrabanek
Se il corpo di un individuo è l'espressione della sua storia, ogni malattia e ogni sintomo dicono qualcosa su tutta la persona. Ogni disturbo altro non è che un segnale dell'organismo di fronte al quale si hanno fondamentalmente due scelte. Si può sopprimere il segnale perché è fastidioso, doloroso o costringe a modificare i propri piani, oppure si può dargli attenzione, sentire cosa dice di sé e muoversi di conseguenza, anche a costo di modificare la propria visione della realtà e il modo in cui si pensa a sé stessi o alla propria situazione, come spesso accade a chi si trova di fronte a patologie gravi.
Nessuna delle due scelte è giusta o sbagliata in sé, perché le priorità sono diverse per ciascun individuo - e anche per la stessa persona cambiano a seconda dei momenti -, ma cogliere la differenza è il primo passo per non subire i processi di cui si è protagonisti e quindi per poterli facilitare e incontrare invece di viverli, paranoicamente, come dispetti del destino o, tragicamente, come aspetti casuali e incontrollabili della vita.
Essere «responsabili» della propria salute non ha niente a che fare con l'essere «colpevoli» della propria malattia. [...] Cosa c'entra tutto questo con il mal di testa? Significa che la nostra sofferenza ha a che fare con noi. Sta dicendo qualcosa su di noi, della nostra vita, forse della nostra alimentazione, di ciò che pensiamo di essere, di ciò che facciamo, di come e di con chi viviamo, di come e con chi lavoriamo. Di dove viviamo e delle abitudini che abbiamo. Del nostro rapporto con gli altri. Della nostra storia e del nostro futuro. Quanto ci costa sopprimerlo con un'aspirina? E davvero stiamo sopprimendo solo la sofferenza, o anche tutto il bagaglio di informazioni che ci sta offrendo? [...] Solo se teniamo nella dovuta considerazione anche ciò da cui quel dolore è maturato e cresciuto fino a manifestarsi come campanello d'allarme potremo parlare di «guarigione». Da qui la responsabilità - che è di chi soffre e anche di chi cura - di trovare insieme la soluzione migliore, ovvero le informazioni capaci di ridurre la sofferenza, ma nello stesso tempo di non trascurarne il senso.
La comparsa di un significato in ciò che accade - che si tratti di una malattia, di una squalifica, di un avvenimento inatteso - porta sempre con sé un sollievo.
Il corpo non è che il mezzo tramite il quale l'anima ci insegna. L'anima è come il vento e il corpo è come la sabbia, sulla quale l'anima lascia le proprie tracce. Come afferma Bonnie B. Cohen [...] «se vuoi sapere come soffia il vento, è alla sabbia che occorre guardare».
Vorrei far sentire i sapori della vita con il palato a tutti coloro che li sentono con la testa.
Winny
Il sapere ottenuto tramite il sentire e l'assaggiare è ben diverso dalla conoscenza, che è un processo quasi esclusivamente mentale.
Il nostro corpo è qui, ora: chi vuole può sentirlo, e raccogliere le sue reazioni.
Vogliamo o no che la nostra vita sia orientata da ciò che sentiamo?
Sono stato e sono tuttora un cercatore, ma ho smesso di fare domande a stelle e libri; ho cominciato ad ascoltare gli insegnamenti che il mio sangue mi sussurra.
Hermann Hesse
Simbolo deriva infatti dal greco syn-ballein, che significa legare insieme.
Tra le diverse cosmologie a cui si può fare riferimento, il corpo è la più completa e tangibile. Nel corpo vengo rappresentati tutti i processi archetipici universali - il cervello come intelletto, il cuore come affettività, il fegato come forza, il sangue come passione, eccetera. [...]Noi d'altra parte ci troviamo nel periodo storico e nell'area geografica in cui si è verificata la maggiore dissociazione tra psiche e corpo registrata dalla storia dell'umanità. In un'economia globale, l'Occidente industrializzato non è poi tanto diverso dall'adolescente che si perde al computer per ore, dimenticandosi di tutto il resto, forse perché in quel momento della sua crescita sta sviluppando specifiche funzioni cerebrali e neurologiche. Per la prima volta è possibile vivere senza una necessità pratica del corpo: automobili, ascensori, energia elettrica, telecomando permettono di credere di non averlo e, nel caso ci accorgessimo di averlo per l'insorgenza di una malattia o di un dolore, abbiamo infiniti strumenti - sia chimici (come gli analgesici) sia culturali (come la televisione o i ritmi lavorativi) - per riuscire a dimenticarcene. [...]Il corpo con le sue sensazioni - e anche con le sue malattie - continua infatti a essere il canale principale di collegamento con la totalità del nostro essere. È l'Olimpo personale in cui giocano tutti gli «dèi» del sé più profondo. Estirpare dal corpo le proprie radici separa la persona dal parlamento dove sono rappresentati tutti gli aspetti della sua anima.
Nascere in questo periodo storico e in questa cultura ci ha sicuramente portato molto lontano. Forse è ora di tornare a casa.
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martedì 9 giugno 2015
domenica 7 giugno 2015
Parole che amo: en-joy
Parole che amo: enjoy
Generalmente tradotto con "divertirsi, godere/ fruire di qualcosa", etimologicamente deriva dal francese en-joir, a sua volta dal latino gaudere, dalla cui radice derivano probabilmente anche gioia, gioiello e gioco.
Questa parola inglese che stranamente non ha un corrispettivo altrettanto efficace in italiano (o erro?) mi piace tantissimo, perché porta in sé l'insegnamento che godiamo sopratutto di ciò che ci fa gioire.
Generalmente tradotto con "divertirsi, godere/ fruire di qualcosa", etimologicamente deriva dal francese en-joir, a sua volta dal latino gaudere, dalla cui radice derivano probabilmente anche gioia, gioiello e gioco.
Questa parola inglese che stranamente non ha un corrispettivo altrettanto efficace in italiano (o erro?) mi piace tantissimo, perché porta in sé l'insegnamento che godiamo sopratutto di ciò che ci fa gioire.
sabato 6 giugno 2015
Darby's quotes
You have the body that you need
Don't worry be happy
To learn asana stay in West
What you are ready for is what you'll get for.
If you are a thief with ashtanga you are a better thief
(Citando David Swenson)
Practice and let the practice take care of you.
Aneddoti raccontati da Joanne e da Darby:
Joanne Darby e il sul suo sirsasana di un'ora.
Tutto iniziò quella volta che Guruji in shala la vide in posizione le disse: "Scendi quando torno". Salvo poi essere rapito da una chiamata internazionale lunghissima e dimenticarsi di lei a testa in giù. Quando dopo un'ora tornò, passata la sorpresa di trovararla ancora nell'asana e fresca come una rosa, le suggerì di farla sempre così a lungo! Alla domanda di uno studente: "Come ci si sente a stare un'ora in sirsasana?", Joanne, molto candidamente risponde: "I couldn't stay one hour on my feet, but i stay one hour on my head!"
Molte persone dopo Kapotasana iniziano a piangere, perché è una posizione che tira fuori il cuore spezzato, facendo riemergere prepotentemente vecchie memorie.
Quando questo succedeva cosa diceva Guruji a chi piangeva? "Jump back!"
(Quote e aneddoti tratti dagli appunti del Workshop con Mark e Joanne Darby, presso AYBO Bologna, 25-30 aprile 2015
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