"Quasi quasi io il dolore al ginocchio te lo lascerei, così non ti dimentichi della cicatrice".
Come spesso accade, il dolore di una parte del corpo è sintomatico di un problema di un'altra. Di una parte del corpo di cui ci siamo dimenticati.
E così mentre l'osteopata mi chiede se ho mai subito interventi io mi dimentico di dire che ho fatto il parto cesareo, che sì, è stato un intervento a tutti gli effetti.
Inizia a trattarmi il ginocchio, e dopo un po' inizia a mettermi le mani sulla cicatrice del parto. Iniziò a piangere. Non perché mi faccia davvero male, ma perché quello è il mio punto più vulnerabile. L'unica parte del mio corpo che non tocco mai, che non guardo, che nascondo sempre.
E improvvisamente capisco che quella è la sede dei miei dolori più profondi, della mia rabbia, della rimozione di un parto bruttissimo, che non ho mai accettato e che mia ha lasciato pessimi strascichi anche relazionali.
Come abbia fatto una persona meravigliosa come mia figlia a nascere da un parto così brutto e traumatico è una cosa che non mi spiegherò mai.
Roba vecchia, non ci pensavo più da almeno 10 anni. Pensavo di averla superata, che fosse acqua passata.
E invece no. Eccolo là, l'osteopata che mi dice: "il tuo respiro è bloccato, non arriva fino alla cicatrice", che smacco, per un insegnante di yoga che non fa altro che spiegare agli altri come portare il respiro laddove ci sono tensioni.
Diagnosi finale: "Non scioglierai del tutto le tue tensioni finché non farai pace con la tua cicatrice, io ti posso aiutare, ma la terapia vera la devi fare tu, a casa".
Terapia: auto-massaggiarmi la cicatrice, toccarla, trattarmela, imparare ad attraversarla con il respiro.
Solo l'idea mi fa stare male e piangere. Io che amo il tatto, che massaggio e mi auto-massaggio, che gioco con il respiro e uso il mio respiro per sostenere gli altri, messa sotto scacco da una cicatrice piatta di 13 centimetri che dovrebbe rappresentare l'evento più bello della vita di una donna e invece per me (ma non solo per me) rappresenta uno degli episodi più brutti, tanto da rimuoverlo.
Questa è la società in cui viviamo: fare partorire le donne con rabbia e dolore, come se non ci fosse un modo diverso. Ma un modo diverso c'è. Oggi lo so. Ed è importante che le donne finalmente lo sappiano. E questo modo non si chiama "epidurale", ma si chiama preparazione psico-fisica al parto naturale, in un ambiente confortevole, sereno e protetto.
Se siete incinte o lo state programmando informatevi, per il vostro bene.
Alla fine l'osteopata mi ha detto: "non appena supererai questo blocco potrai aiutare le altre donne, perché solo chi ha sofferto può trasmettere profondamente la sua esperienza agli altri".
È quello che vorrei fare, e ancora non so come cavolo devo affrontare questa cavolo di cicatrice, ma il fatto che si sia risvegliata così prepotentemente dopo essermi formata per lo yoga in gravidanza e averlo insegnato, e in concomitanza di un seminario sul tantra e di uno sul perdono è un segnale che non posso davvero ignorare. Ci vado a provare.
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